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Nome: giuseppe tavella
Su di me: Docente di Elettronica, ricercatore nel campo delle Energie Rinnovabili mi occupo da molti anni di fotovoltaico, solare termico e geotermia a bassa entalpia. Viaggio da sempre con uno scooter elettric...
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Interessi: Lo studio Green Technology offre un servizio di consulenza mirato all’integrazione delle diverse tecnologie ecologiche insieme ad uno studio delle soluzioni green più adatte alle esigenze specifiche d...
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Locazione attività: IT, Veneto - Vicenza
Nome attività:
Green Technology
Descrizione attività: Studio di consulenza Energie Rinnovabili, in particolare geotermia a bassa temperatura (scambiatori verticali, orizzontali, a spirale etc), solare termico (per la produzione di acqua calda e riscaldam...
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Informazioni di contatto: Via Monte Pasubio n.25 Vicenza
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Profilo completo [ vedi ] |
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13/5/2011
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Stile di Vita Green Living
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Locazione:
Il nostro mondo
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Gli anni settanta, la decrescita economica e il mito della crescita continua.
[La contestazione ecologica – contro l’inquinamento dei mari, l’inquinamento dell’aria dovuto ai camini industriali e alle automobili, l’inquinamento del suolo dovuto ai rifiuti solidi, la scomparsa degli animali e delle foreste – ebbe un ruolo importante nella ribellione degli anni Sessanta contro la crescita assurda a forma maniacale (growthmania). Apparve allora che il possesso di beni materiali, macchine, denaro, non ha niente a che vedere con il benessere, la giustizia, la felicità. Il fatto che le società avanzate misurino il progresso attraverso l’aumento del prodotto interno lordo (PIL, indicatore monetario non a caso inventato dall’economista Colin Clark, uno dei critici della contestazione ecologica, secondo il quale la Terra può sfamare quaranta miliardi di persone) implica che si progredisce nello sviluppo soltanto producendo e consumando più merci, e pertanto sfruttando sempre più le foreste, le miniere, il suolo, le acque, e sporcando sempre più i fiumi, l’aria, i mari. Ma con lo sfruttamento e l’inquinamento (la violenza contro la natura e le sue risorse) cresce la disuguaglianza fra i popoli sfruttatori e quelli sfruttati, peggiorano le tensioni internazionali per la conquista delle risorse naturali, energetiche e minerali, che comportano conflitti e crisi economiche] (Nebbia 1986).
Era questo il clima in cui Barry Commoner pubblicò uno dei testi che ancora oggi è considerato un riferimento fondamentale del pensiero ecologista e che probabilmente diede l’avvio all’ecologia politica: The Closing Circle (1972). Osservando come la natura funzioni con cicli chiusi (acqua, ossigeno, carbonio, azoto e fosforo) e come, alimentate dall’energia solare, qualsiasi trasformazione naturale fa sì che la materia rientri continuamente in circolo per venire riutilizzata, così anche le sostanze chimiche estratte dall’aria, dall’acqua e dal terreno ritornano in circolazione in quanto materie prime per altri cicli naturali. Da qui la necessità di “chiudere” questi cicli naturali, che la degradazione ambientale e l’inquinamento hanno contribuito a rompere e ad aprire in maniera decisiva, attraverso l’estrazione di materia ad un tasso più veloce della sua generazione e l’emissione crescente di rifiuti impossibili da assimilare per la natura. Commoner, che tra l’altro è uno dei pochi studiosi a fare continuo riferimento all’economista tedesco Kapp, vede nell’urgenza di interventi tecnico-scientifici e politici l’unica possibile soluzione per “chiudere il cerchio”.
Negli stessi anni, ma con una risonanza indubbiamente inferiore, l’economista H. Daly minava alle fondamenta le radici stesse dell’economia con quella che è conosciuta come la teoria dello stato stazionario, uno dei primi tentativi di formulare un nuovo paradigma e un nuova teoria economica alternativa a quella dominante di tradizione neoclassica, capace di descrivere, analizzare e superare i problemi ambientali moderni. Un’idea non del tutto nuova ma chiaramente ispirata, non a caso, da un famoso economista classico, John Stuart Mill, che un secolo prima di Daly scriveva: “è forse superfluo osservare che una condizione stazionaria del capitale e della popolazione non implica affatto uno stato stazionario del progresso umano. Vi sarebbe altrettanto scopo per ogni specie di cultura intellettuale e per il progresso morale e sociale; ed altrettanto campo di perfezionare l’arte della vita, con una probabilità molto maggiore di perfezionarla, una volta che le menti degli uomini non fossero più assillate dalla gara per la ricchezza. Anche le arti industriali potrebbero essere coltivate con eguale intensità e con eguale successo con questa sola differenza che invece di non servire ad altro scopo che all’accrescimento della ricchezza, i miglioramenti industriali produrrebbero il loro effetto legittimo, quello di abbreviare il lavoro” (Mill 1911).
Breve biografica di Barry Commoner: http://it.wikiquote.org/wiki/Barry_Commoner
Tratto dalla Tesi di laurea di: Nathan Zippo, LA DECRESCITA ECONOMICA
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REPORTAGE
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Gli anni Settanta e la critica alla crescita economica - parte 1
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posted on 5/13/2011 at 11:34
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Ciao Giuseppe.
Credo che questo tuo intervento metta in dubbio non tanto la correlazione assoluta PIL=Sviluppo quanto Sviluppo=Miglioramento.
Al tempo illuminato in questa direzione da ciò in cui mia figlia crede, sostiene ed argomenta non solo per gli approfondimenti del master in SOAS, penso che i recenti eventi azzerino ogni dubbio sulla necessità di sostituire o quantomeno affiancare il PIL con altri indicatori (ce ne sono di studiati ed indagati) più veritieri.
Certamente infatti, lo strafogarsi di benessere in un contesto che allontana sempre più dalla sua paritaria distribuzione tra i simili, necessita di correzioni alle aberrazioni del capitalismo che lo rendono tutt’ora il male minore.
Di troppo e dissennato mangiare, al solito si muore, così come del troppo poco e forse sfamare quaranta miliardi di persone oltre che impossibile non deve nemmeno rappresentare un obbiettivo razionale.
E poichè è la disponibilità energetica che determina lo sviluppo economico-produttivo, risparmiamola questa Energia, almeno finchè scienza e razionalità non ci permettano una programmazione diversa.
Sergio
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Certo Sergio,
c’è infatti da chiedersi a che cosa serva in fondo affannarsi tanto per cercare di rendere sempre più green la nostra società quando quest’ultima è sporca non solo in termini di produzione energetica ma in tutti gli altri settori che la compongono..
- come renderemo green il consumismo? - come renderemo green la smisurata volontà di arricchirsi sempre più? - come renderemo green una società basa sul debito? - e come renderemo green tutto il vecchiume installato permanentemente sulla testa della maggioranza delle persone quale risultato di 60 anni di superficialità a scapito di una profonda formazione culturale?
Quanto domande! Per come la vedo io la soluzione, complessissima anche se non impossibile, è quella di lavorare su più fronti CONTEMPORANEAMENTE:
- lottare contro le aberrazioni legate al consumismo - incentivare una cultura basata sulla scienza - riconsiderare il valore della felicità umana - indurre una transizione dall’attuale MODELLO economico basato sul profitto a un nuovo modello economico basato sulle risorse.
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Caro Giuseppe.
Sono perfettamente in sintonia: lo "sporco" non è tanto il colore del non-pulito, del non-sano da spazzar via tinteggiando tutto di verde poichè quest’ultimo, rappresenta solo una delle specifiche tecniche di una vernice che anzitutto deve essere "antibatterica".
Poichè i batteri indotti sono tanti, è necessaria anche la prestazione “ ampio spettro” ed un dosaggio-miscelazione dei componenti talmente raffinato da non far morire il malato rimediandogli la malattia.
Complimenti per l’analisi, la precisione, la praticità e l’entusiasmo.
Condivido pienamente la strategia dell’intervento pluricampo, insieme alla tristezza del pensare - visto come vanno le cose - che rimediare sarà molto difficile poichè di sviluppo personale, di crescita individuale ed interiore si tratta.
L’unico vero investimento che non può mai tradire e che da tutti dovrebbe essere ambito!
Il valore di sé, della propria testa; da tradursi in azioni e comportamenti affinchè non risulti falso quindi sterile per l’incapacità di produrre risultati-cambiamenti comportamentali.
Un investimento che però costa molto impegno, in cui è facile sentirsi parte attiva illudendosi solamente.
Per nulla incentivato ed astutamente ignorato da chi dovrebbe promuoverlo, perchè contrario all’interesse delle piccola parti.
Nel dettaglio dell’elenco, sposterei il punto due al primo posto ricomprendendo nel corretto subordine anche la cultura umanista ed il terzo al secondo così che sia possibile conseguirlo.
La transazione risulterebbe così logica conseguenza affrancata da fedi di qualsiasi natura: religiose o politiche che sia.
Vivere con il denaro in un mondo cosciente o “green” è certamente conveniente e possibile.
Per questo scrivo.
Buona giornata
Sergio Capraro
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